C: ciao Houda, grazie per essere qui qui,qui ti va di iniziare a raccontarci che cosa vuol dire per te essere Madre di Quartiere?
H: eeeh…
C: liberamente, come ti viene…
H: “Madre di Quartiere è una parola grossa, perché non puoi spiegare solo con le parole, deve essere proprio la persona adatta di fare questo lavoro, non qualsiasi persona può farlo, perché devi avere qualcosa dentro, qualcosa di voglia di aiutare, devi essere più generosa, dare senza aspettare che riceve qualcosa…”. La MdQ è una figura, una cerniera, che collega i servizi offerti dalla città con le persone che chiedono aiuto, ma non sanno che quei servizi esistono…
C: e al di là del ruolo, com’è per te, per la tua personale esperienza essere una MdQ?
H: per me è dare senza aspettare di ricevere qualcosa di materiale, la madre di quartiere una è come una madre che dà tutto quello che riesce per poter aiutare il figlio, in tutte le maniere che può, sia sentimentalmente che materialmente…
C: e come è cambiata la tua vita da quando sei diventata MdQ? Pensi che sia cambiato il tuo ruolo o la tua identità?
H: sai cosa è cambiato? Che non ho solo più la mia famiglia nella mia vita, da quando sono diventata Madre di Quartiere sono entrate tutte le persone che accompagno, una per una. Ogni persona che seguo, la conosco, entro piano piano nella sua vita e cerco di dare il meglio per poter raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati all’inizio, durante il colloquio conoscitivo. Ad esempio nella mia agenda ci sono tutti gli appuntamenti con le persone che seguo, li sento di famiglia, come una parte di me. Adesso ho più famiglie, sento che mi appartengono, che ci sono dentro, e mi sento felice quando aiuto una persona non solo perché raggiungiamo degli obiettivi concreti, anche perché questo lavoro mi rende soddisfatta della mia vita, non solo come donna, sono soddisfatta della mia vita perché penso che questo era il pezzo di Lego che mi mancava, perché ho sempre desiderato aiutare gli altri…
E poi c’è il riconoscimento economico grazie ai progetti, è qualcosa che mi completa e che mi aiuta nella strada per l’indipendenza e per andare avanti…
E’ un lavoro che mi dà soddisfazione, ho sempre desiderato di lavorare in un posto dove posso sentirmi tranquilla, libera e soddisfatta di quello che sto facendo…
C: e ti senti così?
H: si mi sento così, io ho fatto tanti lavori, però andavo la mattina con con meno voglia di lavorare invece con questo lavoro, anche se ci impegna tanto, anche mentalmente, può rimanere il pensiero “ma domani non so ancora cosa fare con quella signora che ha questo problema…come posso aiutarla a risolverlo?”, ho molte cose a cui pensare, non solo per la mia famiglia, ma per tutti… a volte è davvero difficile o impegnativo, però a me piace farlo! Mi piace…
C: riempie qualcosa dentro di te? Ti dà un senso?
H: si esatto, riempie qualcosa dentro di me…
C: cosa?
H: da qui (si tocca il petto), riempie quel vuoto. Perché ognuno di noi ha qualcosa dove si sente a suo agio, io mi sento a mio agio facendo la Madre di Quartiere. Ad ogni appuntamento vado volentieri, ma anche tutto quello che sta dietro a quell’appuntamento, le chiamate, mail, c’è tanta strada per arrivare quel punto, a me piace e mi piacerebbe chiudere quella cosa… non lo so se…
C: ti piace risolvere, portare delle soluzioni, dei cambiamenti…?
H: si, mi piace provare a risolvere le problematiche che si presentano, e quando arrivo all’obiettivo, guarda, mi sento felicissima, perché ho fatto qualcosa di bello nella mia vita. Ho scoperto che essere Madre di Quartiere mi ha dato più di quello che sto dando io. Quando sono venuta in Italia, avevo bisogno di qualcuno che potesse starmi vicino, anche da lontano, con cui potessi parlare e sfogarmi se stavo male, ad oggi le donne che seguo riescono ad aprirsi, delle volte mi chiamano per delle cose banali…
C: ad esempio?
H: ad esempio mi ha chiamato ieri una donna per chiedermi se un ingrediente dentro l’omogeneizzato fosse sicuro per suo figlio piccolo, è banale, ma lei aveva paura ed una chiamata è bastata per rassicurarla. O a volte mi chiedono conferma rispetto all’assunzione di farmaci o le corrispondenze con le ricette, per noi possono essere cose banali, ma per quella persona, che non sa l’italiano, non sa leggere, avere qualcuno a cui chiedere, vale molto di più. C’è tanto tanto tanto lavoro però, come ho detto a una signora di 73 anni ieri: “guarda, non ti lascerò mai finché tu sei sistemata, non importa se finisce il progetto o i finanziamenti”. Quando incontri una signora anziana sola, che non parla l’italiano, con la gobba, con la casa…no, non voglio parlare dei dettagli, è disabile ma non ha la documentazione, paga 150 euro di luce perché ha firmato due contratti senza volerlo, delle cose che dici:”mah, ma noi siamo persone? Quando una persona vive in queste condizioni, è vicino a noi, vive con noi, nella mia zona a Torino lei vive così…ma noi siamo umani?
C: ho i brividi ascoltando queste parole…
H:siiiii, un giorno ti porto da lei…
C: si, stavo pensando la stessa cosa.
H: Veramente rimani male, o a volte l’ho chiamata ed erano due giorni che non mangiava perché non riusciva ad andare a comprare un pezzo di pane…ma ti rendi conto ma dove siamo noi? Io ci sono rimasta malissimo, non ti dico l’impegno che ci metto perché voglio raggiungere degli obiettivi con lei. Le ho detto che non la lascerò finchè non avremo risolto la sua situazione, anche se finisce il finanziamento del progetto!
C: qual’è stata la prima cosa che hai fatto?
H: ho subito chiamato l’assistente sociale spiegandole la situazione, per me è una vergogna, per noi come persone proprio, vedere che non c’è nessuno che può aiutare una signora che non ha da mangiare e per la sua disabilità non riesce più a stare dritta con la schiena. Si è sorpresa e dispiaciuta di non esserne mai venuta a conoscenza, così, abbiamo concordato un incontro a casa della signora per fare una verifica ufficiale delle condizioni abitative e sanitarie. Majuba ha la pensione sociale di 700 euro e qualcosa però paga più di 200 euro di affitto, 150 euro di di luce poi tolte le altre spese non le rimane neanche 100 euro per arrivare alla fine del mese. L’assistente sociale ha delineato il piano di priorità indicandoci che il primo passo era fare la richiesta del documento di invalidità, in più ha diritto per la domanda di un aiuto di una persona che viene a casa per almeno 4 ore, per le pulizie o per portare pane, acqua, o le prime necessità. Quindi il secondo passaggio è stato quello di andare dal medico curante che ci ha richiesto delle visite, tac, e abbiamo fatto tutto, adesso ho appena ritirato l’esito e lunedì andiamo insieme per per farli vedere al medico, così possiamo procedere con i documenti per il riconoscimento dell’invalidità. In più, sempre al medico legale abbiamo richiesto una visita all’ASL per ottenere l’aiuto a casa. In base alle sue condizioni stabiliscono di quante ore ha necessità, 2,3…vedremo.
Nel frattempo siamo in contatto con l’assistente sociale per qualunque aggiornamento. Intanto procediamo anche con la richiesta dell’ISEE così si può richiedere l’integrazione della pensione di cittadinanza. Pensa che avevo preso l’appuntamento al caf ieri però la signora si è bloccata e non è potuta venire, doveva raggiungermi con la metro ma non riusciva proprio a muoversi, per fortuna avevo i documenti originali e nel caf sono stati molto comprensivi, abbiamo avviato le pratiche, solo che mancava il contratto d’affitto che gli ho poi inviato come integrazione via email. Adesso abbiamo appuntamento per andare insieme per il ritiro, così lei firma e possiamo richiedere l’integrazione della pensione.
C: vedo che questa situazione ti tocca molto, sei molto coinvolta, è così?
H: si, molto, perchè questa persona…chi deve aiutarla?
C: posso chiederti come vivi questa vicinanza/distanza nella relazione di aiuto? Come riesci a stare in equilibrio tra il tuo personale vissuto e quello di un’altra persona?
H: sai una cosa? Dipende dai momenti, perché a volte serve più e umanità, più vicinanza, a volte serve mantenere una certa distanza. Ad esempio quando incontro una signora che diventa dipendente e che mi chiama tutti i giorni, mi prendo un momento per spiegarle meglio il mio lavoro, la mia disponibilità, il percorso che abbiamo scelto di fare insieme con gli obiettivi che ci siamo date e che cosa serve fare per realizzare tutto, cerco di rassicurarla…
C: mi risuona molto la parola aiuto, aiutare. Durante il corso di formazione per diventare MdQ abbiamo visto che ci sono tanti modi di aiutare le persone. Come Associazione Terra e Pace abbiamo scelto una particolare forma di aiuto, volta all’autonomia e all’empowerment delle persone che incontriamo…e allo stesso tempo la flessibilità della professione si mescola alla professionalità che si instaura nella relazione…
C: com’è stato per te entrare in questa nuova ottica?
H: eh, prima di fare la formazione per diventare MdQ usavo solo la mia parte umana e quella di cuore.. (fa un respiro lungo e profondo)…però non serve solo quello, serve un’altra parte che ci avete insegnato, che è quella che ci permette di raggiungere gli obiettivi che condividiamo insieme alle persone. Prima, quando vedevo qualcuno in difficoltà esprimevo a parole il mio dispiacere ma spesso mi facevo sommergere dal carico che mi portava. Accadeva che andavo in confusione o mi sentivo male. Adesso so che ci sono dei passi che posso fare, unici per ogni persona e soprattutto non sono sola, ho tutto il sostegno da parte dell’equipe e del gruppo delle Madri di Quartiere con le formazioni e le supervisioni continue. C’è chi accompagna chi accompagna.
C: si, è molto importante per noi per costruire relazioni aperte alla possibilità del cambiamento e del continuo miglioramento insieme…
H: e alla fine l’aiuto deve essere concreto. Per renderlo tale abbiamo step, schede, obiettivi e tutta la nostra creatività…definiamo da subito la durata, stabiliamo il tempo.
C: aiutare verso l’autonomia…
H: esatto, cioè io non faccio tutte le cose per te finché tu sei da solo con le tue gambe no no no, io ti aiuto ad imparare a camminare sulle tue gambe per essere in grado di raggiungere la tua stabilità…
C: si, nell’approccio che abbiamo scelto di seguire è anche molto importante non etichettare le persone e ricordar loro che si tratta di un momento attuale di difficoltà e che può essere l’occasione per tirare fuori le risorse e i talenti per camminare sentieri non più imposti ma scelti, sulla via dell’indipendenza…
H: ci sono donne come Ebtisam che sono da anni in Italia e vanno nemmeno a comprare il pane da sole… l’altro giorno invece dopo mesi di affiancamento e tanti giri insieme è andata da sola a fare l’Isee. Io ero fuori ad aspettarla. E’ stato un passo enorme! Bisogna fare così, se no le persone diventano dipendenti da te…
C: che bello! Questi sono gli obiettivi da celebrare…
In questo passaggio all’autonomia, nell’esperienza che hai avuto, come hai visto le persone cambiare?
H: io ho visto tanti miglioramenti nelle persone che ho seguito, con alcune siamo partite proprio da zero… e poi io sempre racconto la mia esperienza, perché anch’io ero come loro e per raggiungere questo livello ho dovuto lavorare su di me, sono andata a scuola sono andata a imparare, ho fatto tanto per arrivare a questo punto. Non puoi stare a casa seduto e ti arriva l’italiano direttamente in testa. No, dobbiamo uscire… le invito a parlare italiano, anche una parola o due anche al telefono, a volte mischio l’italiano con l’arabo per stimolarle a parlare…e ho visto dei miglioramenti…se non fai così restano sempre indietro..
C: per la tua esperienza, noti che le persone vorrebbero “la pappa pronta”, vorrebbero essere aiutate con il sistema assistenzialistico?
H: uh si si, la maggior parte.
C: ah, e quali sono le difficoltà per trasmettere il messaggio dell’autonomia?
H: è difficile dirgli che non sarò per sempre con loro, mentre loro hanno bisogno di imparare la lingua per aiutare i loro figli,ad esempio per parlare con la maestra e in generale non devono mai essere dipendenti da altri. Poi all’inizio io insisto per farle uscire e incontrare altre persone, invece che rimanere chiuse davanti alla televisione nella loro lingua…
C: che cosa le potrebbe aiutare e stimolare ad aprirsi?
H: avere una persona che sa la loro lingua e poi partecipare a eventi, magari con un tema, con vari argomenti, sarebbe bello provare con la Comunicazione Nonviolenta…
C: sì, si stiamo cercando dei finanziamenti apposta..
H: eh si, perchè per essere utile dovrebbe essere una cosa continuativa…
C: sarebbe bello includere anche i laboratori sull’interculturalità di Celestina…
H: si e alcuni temi possono essere l’educazione dei figli, il contatto con gli adolescenti, la rabbia con la comunicazione empatica, imparare a uscire dall’obbligo…ad esempio ho visto delle donne far fare alle bambine molti lavori di casa impedendo un normale sviluppo di socializzazione e gioco…mi rende molto triste questo…
C: sarebbe anche bello un evento di scambio fra culture…In che modo possiamo incontrarci secondo te?
H: con la cucina! le donne arabe non fanno altro che cucinare, e anche agli italiani piace…
Tornando ad alcune donne egiziane che seguo, ad esempio, loro vorrebbero imparare, ma non vogliono fare sforzi, io le invito a cominciare dai piccoli passi, i cartoni animati dei bambini, il quaderno con le frasi, scrivermi “ciao Houda”, mi basta questo, il giorno dopo “come stai?”…Si possono fare tante cose…
C: si, facciamo una riunione per mettere giù tutte queste idee… Adesso ti volevo chiedere ancora una cosa, se ti va…ci vuoi raccontare che cos’è per te la passione?
H: ma legata al nostro lavoro?
C: come vuoi, anche nella vita in generale…
H: la mia passione…?(ride) uuh una domanda che non avevo mai immaginato…la passione è aiutare le persone e vedere il loro sorriso, prima di fare anche madre di quartiere era stare semplicemente con le altre persone a parlare…di qualsiasi cosa, mi bastava parlare.
C: ti piace entrare in contatto e conoscere tante persone?
H: si questa era la mia passione, non non mi piace stare sola, la mia passione è quella di incontrare tanta gente salutare tutti, infatti mio marito si arrabbia ma a me rende felice, allegra…
C: hai bisogno di scambio?
H: si, di scambio, di conoscenze, di parlare di me e anche sentire parlare l’altro, sentire storie, avere uno spazio dove posso anch’io dire la mia, anche se è un po banale, però…
C: credo sia importante avere e darsi uno spazio per raccontarsi…
H: mi stimola, mi sento felice come una farfalla quando davanti a scuola di mia figlia saluto tutti e chiacchieriamo…
C: che bello! ultima domanda…cos’è per te l’amore?
H: oddioooo (ride)…l’amore, eh si una parola molto molto ampia perché ci sono diversi tipi di amore, c’è un amore legato ad un marito o compagno, ma di questo preferisco non parlare, invece l’altro amore è quello di amare tutti, senza distinguere…
C: (sorride) e come si fa?
H: amare senza giudicare, si è così, amare senza giudicare. Parlo dell’amore innato in noi… nessuno di noi porta qualcosa quando muore, e meno male che c’è l’amore che non costa niente! E’ una cosa veramente bella l’amore, amare le persone anche se non le conosci, amare tutto, anche l’ambiente, amare te stessa, perché questa è la chiave della vita…
C: e tu ci riesci?
H: si, grazie a Dio, si. Una volta no, pensavo che amare fosse legato solo al matrimonio e ai figli, invece crescendo ho scoperto che dobbiamo amare noi stessi, la vita, le persone…
C: questo è importante da raccontare e condividere, come fai?
H: quando ami te stessa cominci a fare delle cose meravigliose, intanto do al mio corpo, al mio cervello e al mio cuore quello che serve per stare bene…Quando mi sento proprio tranquilla con me poi riesco a dare molto di più agli altri…
C: e che cosa diresti ad una persona che magari è in un momento buio, in un momento di difficoltà, per fargli vedere questo amore…per aiutarlo a trovare questo amore nella sua vita?
H: gli farei vedere come può partire da se stesso…sei un cuore e un cervello, e questi possono lavorare per te e anche per la società…oggi abbiamo bisogno di umanità e di amore…
C: mi vengono i brividi! Grazie per questa condivisione…
H: grazie a te di questa possibilità…
(Racconto liberamente rielaborato dall’autrice_Chiara Bertalotto)